L’amore di una madre: calcoliamo il ROI.
Sull’eccesso di razionalizzazione e altre aberrazioni.
Léon Bazile Perrault, Madre con bambino (1894)
Nel cuore delle aziende moderne, batte una convinzione tenace: tutto ciò che conta può essere misurato. Viviamo sotto il dominio delle metriche, prigionieri di una razionalità che cerca di comprimere ogni sfumatura della realtà in un grafico, una percentuale, un numero.
Ma ci sono domande che scuotono questa certezza.
Quando ho chiesto a un collega se fosse in grado di calcolare il ROI* dell'amore di una madre per suo figlio, non cercavo una risposta concreta. Era una provocazione, un modo per porre sotto la lente la nostra tendenza a voler razionalizzare tutto, anche ciò che è per sua natura inafferrabile.
Questo amore materno, come lo misuriamo quindi?
Lo misuriamo in ore di sonno perse, in numero di baci, di abbracci o più banalmente in denari investiti per l'accudimento? La madre c'è, il suo amore anche e la resa percepita del suo valore, se così vogliamo metterla, è incalcolabile.
Qualche consulente impazzirebbe, a questo punto.
Possono davvero l'amore, la bellezza o l'emozione essere ridotti a una formula? Se ci fermiamo a riflettere, capiamo che non solo non tutto può essere misurato, ma forse nemmeno dovrebbe esserlo.
*Return on Investment, è un indicatore di redditività che misura il rendimento percentuale dell'investimento rispetto al suo costo.
L'azienda come organismo
Nel Rinascimento, gli artisti e i pensatori vedevano l'universo come un organismo vivente, dove ogni elemento era interconnesso in modo armonico, olistico diremmo oggi.
Leonardo da Vinci, per citare un personaggio che noi tutti conosciamo, con i suoi studi sul corpo umano e sulle macchine, non mirava a frammentare la realtà, ma a comprenderne l'unità intrinseca, attraverso l’esame di ogni elemento.
Un'azienda, oggi, non dovrebbe essere intesa troppo diversamente da quell'ideale rinascimentale: un insieme di elementi che lavorano in sinergia, dove il successo non può essere ridotto ai soli numeri.
Come misurare la bellezza di una cattedrale gotica o di un dipinto di Botticelli? Possiamo contare le pennellate o calcolare il tempo necessario per erigere una struttura, ma nulla di questo ci darà la misura di ciò che essa è.
La bellezza, come l’amore di una madre, non può essere contenuta né da un metro né da un algoritmo.
La schiavitù delle metriche e l'iper-razionalizzazione
Eppure, oggi viviamo una condizione ben diversa da quella dei grandi maestri rinascimentali. L'iper-razionalizzazione ha fatto sì che le metriche non siano più uno strumento, ma un fine.
Contiamo ogni evento, ogni click, ogni interazione, come se fossero questi a rivelare la verità del nostro operato.
Ma ciò che è misurabile non sempre è essenziale.
L'organismo aziendale, proprio come quello umano, funziona grazie a connessioni sottili, difficili da tracciare con esattezza. La fiducia tra i dipendenti, la passione di un leader, la stretta di mano di un commerciale, la cultura che permea ogni decisione – tutte queste sono le vene e le arterie di un'azienda sana, ma non sono cose che possiamo inserire in un foglio Excel.
È proprio in queste zone invisibili che risiede il segreto della longevità e del successo.
Aberrazioni del calcolo: il caso del rating bancario
Un esempio emblematico di come l'ossessione per la metrica abbia portato ad aberrazioni è quello del rating bancario prima della crisi finanziaria del 2008. All'epoca, il valore dei titoli derivati veniva attribuito tramite complesse formule matematiche, che avrebbero dovuto garantire una valutazione accurata del rischio. Le metriche erano presentate come l'apice dell'oggettività: numeri, algoritmi e rating a tripla A erano il faro di affidabilità.
Eppure, quelle stesse metriche si rivelarono un modello di valutazione incompleto e addirittura fuorviante. Non tenevano conto dell'interconnessione tra i fattori, delle dinamiche sociali, delle relazioni umane, trasformando i numeri in un'illusione di sicurezza.
Quella schiavitù del calcolo ha portato al crollo dei mercati, evidenziando come una fede cieca nei numeri possa portare a risultati devastanti.
L'errore è stato confondere la precisione con la verità, dimenticando che la realtà è più complessa di qualsiasi algoritmo.
Il processo lento e organico
Il progresso, in ogni azienda come nella cultura, è spesso un processo lento e organico. Se misurato in lassi di tempo minimi, può sembrare che non abbia prodotto effetti, ma in realtà è la vera anima dell'evoluzione della cultura aziendale. Un cambiamento profondo non si rivela in pochi giorni o settimane, ma richiede tempo per germogliare e consolidarsi.
Come una pianta che cresce invisibilmente sotto la superficie prima di sbocciare, così l'evoluzione di un'azienda richiede pazienza, fiducia nei processi invisibili e una comprensione che la vera trasformazione non può essere sempre immediatamente quantificata.
Ignorare questa realtà significa ignorare l'essenza stessa dell'organismo aziendale e la sua capacità di adattarsi e prosperare.
Particolare de la Scuola di Atene, Raffaello Sanzio (1509-1511 circa)
Salvare la bellezza, non misurarla
Forse la bellezza ci salverà, come sosteneva Dostoevskij (vabbè, lui non disse proprio così in realtà), ma forse siamo noi che dobbiamo salvare la bellezza dall'ossessione di ridurla a un risultato calcolabile.
Ogni volta che la scambiamo con la pratica di dare un valore numerico a ciò che è incalcolabile, agli asset immateriali, perdiamo di vista la sua essenza. Le aziende, esattamente come le opere d'arte, devono essere interpretate, vissute, sentite.
Non possiamo permettere che l’eccessiva enfasi sui dati ci faccia dimenticare ciò che rende un'azienda viva: la creatività, l'intuizione, l'empatia. È nostro compito, come leader e business strategist, difendere questi spazi di bellezza, di irrazionalità, di umanità.
Non perché i numeri non siano utili, ma perché non sono tutto.
La nascita di Venere di Botticelli. Voi riuscireste a percepire la bellezza dell’intera opera, considerando solo il particolare dell’occhio?
Un nuovo Rinascimento aziendale
La sfida che ci attende è simile a quella affrontata dagli artisti e filosofi del Rinascimento. Dobbiamo recuperare una visione integrale dell'azienda, dove la bellezza non è solo un accessorio, ma un principio fondamentale.
Nella mia esperienza come business strategist, ho visto come le aziende che prosperano non sono quelle che si concentrano solo sui dati, ma quelle che sanno valorizzare il non misurabile. Così come i grandi mecenati del Rinascimento finanziavano opere che non avevano un "ROI" immediato, ma che hanno lasciato un'impronta indelebile nella storia, noi dobbiamo imparare a investire non solo in ciò che è tangibile, ma anche in ciò che è invisibile, ma essenziale.
Dobbiamo tornare a guardare alle nostre aziende come a organismi complessi e viventi, e non come a macchine da cui trarre profitto. Solo così potremo davvero costruire qualcosa di duraturo, qualcosa che non solo sarà bello, ma che meriterà di essere salvato.
‘Non tutto ciò che può essere contato conta, e non tutto ciò che conta può essere contato"., diceva Einstein. In un mondo che sembra ossessionato dai numeri, ricordiamoci che il vero valore si trova spesso nell'invisibile, in ciò che sfugge alla misurazione ma definisce chi siamo e chi vogliamo diventare.
Ho anche tenuto un Tedx su questo argomento, e ne scrivo spesso sul mio sito web.
Ti piacerebbe trattare qualche argomento specifico?
Scrivimi a altrove@andreabarchiesi.com.
Ascolta il testo, letto da Alberto Onofrietti: